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Archivi, biblioteche, libri e musei. Attività e progetti di innovazione

"La conoscenza come conversazione" di David Lankes

 

 

La conoscenza come conversazione, non come catalogo.

Per una nuova biblioteconomia

di David Lankes

 

 

La mia esperienza, e quindi la mia visione della biblioteconomia, è profondamente influenzata da un'ottica americana. Detto questo, nella nostra realtà globalizzata credo che la biblioteconomia, con la sua storia, i suoi valori e la dedizione alla conoscenza che la caratterizzano, crea un legame che travalica i confini. Me ne sono reso conto chiaramente durante gli eventi avvenuti a gennaio: la Primavera Araba e le sommosse in Egitto.

 

All'inizio del 2011, in seguito al successo della rivoluzione in Tunisia, gli Egiziani scesero in strada per chiedere riforme a un regime governativo che era stato al potere per quasi 30 anni. Mentre gran parte dell'attenzione dei media era concentrata sui manifestanti che occupavano Tahrir Square nella capitale egiziana del Cairo, diverse proteste stavano levandosi nella città costiera di Alessandria. Qui, come al Cairo, persone di ogni età e provenienti da ogni ceto sociale si erano sollevate per pretendere libertà, giustizia ed eguaglianza sociale. In un tentativo di ripristinare la costituzione, quella che a prima vista era sembrata una protesta pacifica si concluse con la morte di 846 persone e di 6000 feriti in tutto l'Egitto. Il 28 gennaio, alle ore 18, dopo che le prigioni furono aperte e assassini e stupratori vennero rilasciati per le strade, tutte le forze di sicurezza si ritirarono. Bande di saccheggiatori si riversarono per le strade, approfittando del caos.

 

Nella città portuale egiziana, la violenza e i saccheggi devastarono i palazzi governativi. Dove un tempo c'erano gli uffici, rimanevano solo macerie. I manifestanti andavano da un palazzo governativo all'altro allo scopo di abbattere i simboli diretti del potere corrotto. Alcuni saccheggiatori e dimostranti si diressero poi verso la Biblioteca di Alessandria. Il presidente Mubarak, il bersaglio principale della rivolta, nel 2002 aveva inaugurato questa moderna biblioteca costata circa 220 milioni di dollari. L'aveva costruita per "ricatturare lo spirito di apertura ed erudizione dell'originale", la famosa Biblioteca di Alessandria, una delle meraviglie dell'antichità.

 

Quando divenne chiaro che la biblioteca avrebbe potuto essere in pericolo, i manifestanti si presero per mano e circondarono la biblioteca di Alessandria – non per attaccarla, o saccheggiarla, ma per proteggerla. Per tutta la durata delle proteste e delle razzie, i manifestanti – donne, uomini e bambini – rimasero saldi a proteggere la biblioteca, come a riprenderne possesso in nome del popolo. Quando la rivolta poté dirsi conclusa – il presidente Mubarak aveva dato le dimissioni, e i manifestanti festeggiavano la loro vittoria per tutto il paese – non un singolo vetro della biblioteca era stato rotto, non una sola pietra era stata lanciata contro le sua mura. Perché nel mezzo di una rivolta per l'abbattimento di un regime la gente di una nazione ha protetto la biblioteca?

 

Perché?

 

Perché questa storia, sebbene non in maniera così drammatica, si sta ripetendo dal Regno Unito agli USA? Quando alcune città statunitensi, di fronte a una devastante crisi economica, ipotizzarono di chiudere diverse biblioteche, i cittadini scesero in piazza. I dimostranti irruppero nei municipi e nei consigli comunali. Ci furono manifestazioni, e a Filadelfia il consiglio comunale arrivò al punto di fare causa al Sindaco per evitare la chiusura delle biblioteche di quartiere.

 

In Kenya stanno costruendo biblioteche pubbliche in tutto il paese, nelle aree rurali come nelle città. Dove le comunità sono troppo distanti perché vengano eretti degli edifici, hanno costruito carri per i libri – 5000 libri in un carretto di legno trainato da asini. In aree ancora più remote nel nord del paese, vengono caricate sul dorso dei cammelli casse e tende. Nei villaggi, i carri vengono aperti, e vengono montate le tende per consentire ai bambini e ai genitori di venire a studiare. In questi villaggi, i cammelli sono qualcosa di più che animali da zoo: costituiscono il principale mezzo di trasporto e di lavoro, forniscono latte, carne e persino i loro escrementi vengono essiccati per alimentare le stufe e le cucine. Ora questo animale fondamentale fornisce un ulteriore servizio vitale – portare la conoscenza alle persone.

 

Nelle campagne lungo la costa colombiana, Luis Soriano sprona i suoi due asini, Alfa e Beto. Sulla schiena degli asini ci sono dei libri. Luis Soriano, di mestiere maestro elementare, porta un cartello con su scritto "Biblioburro". Porta libri ai piccoli villaggi e diffonde l'istruzione per tutto il paese presso bambini che hanno visto troppa violenza e conflitti per la loro età. Ha iniziato con 70 libri. Grazie a varie donazioni la sua collezione è cresciuta oltre i 4800 volumi, e ben al di là delle forze dei suoi amici quadrupedi. Adesso la sua collezione è ospitata in una stanza che è diventata una succursale ufficiale della biblioteca comunale di Santa Maria, a circa 180 chilometri di distanza.

 

Troviamo biblioteche nei più bei castelli d'Europa, e fra le proteste di Occupy Wall Street negli Stati Uniti. Le biblioteche vengono accolte allo stesso modo dall'élite e dalla gente comune. Troviamo biblioteche nelle giungle e nei deserti; nelle scuole e nelle aziende, nei governi e persino fra le mura del Vaticano affacciate su Roma.

 

Sembrerebbe che le biblioteche siano universali. Allora come si spiega che con l'avvento del digitale e delle reti ci sono così tante persone che mettono in dubbio il bisogno di biblioteche? Come mai in questa era di "social media" e partecipazione, così tanti nella professione si sentono minacciati? E' arrivata per le biblioteche l'ora di cedere il passo? Vi devo dire che siamo noi, i bibliotecari, a essere in gran parte responsabili della situazione in cui ci troviamo. Oggi vorrei discutere di due ragioni per le quali io credo che siano stati i bibliotecari stessi a mettere in crisi il campo della biblioteconomia. Una ragione è legata a un nostro fallimento; l'altra invece a un grande successo al quale noi stessi abbiamo contribuito. Eppure entrambe significano la fine delle biblioteche come le conosciamo oggi.

 

Il grande fallimento della biblioteconomia è che troppi bibliotecari definiscono la disciplina attraverso le sue funzioni. Siamo bibliotecari perché cataloghiamo. I bibliotecari fanno ricerche nei database. I bibliotecari sono persone che raccolgono e conservano libri. Lo vediamo nel modo in cui organizziamo noi stessi. Non siamo più semplicemente bibliotecari, siamo bibliotecari accademici, bibliotecari specialistici, system-librarians. Abbiamo preso i sistemi di classificazione riduzionista che abbiamo sempre usato per i nostri libri, e li abbiamo applicati su di noi. Il risultato è una frammentazione conflittuale di competenze e di priorità. In questa frammentazione ci poniamo l'uno contro l'altro. Invece di vedere positivamente l'assunzione di un nuovo bibliotecario, vediamo l'assunzione di un bibliotecario di reference come un posto in meno per un nuovo catalogatore, o per un bibliotecaro specializzato, o per qualche altro ruolo di qualche altra divisione.

 

E c'è di peggio. Una volta che inizi a definirti in base a quello che fai, nuovi modi di fare le cose diventano una minaccia. O peggio ancora, se c'è già qualcuno che si occupa di cose simili, si crea una competizione.

Google è una minaccia perché indicizza il mondo senza usare la catalogazione descrittiva. Quindi noi cerchiamo di liberarcene perché non permette di compiere ricerche combinate e, va da sé, non esegue alcun controllo di autorità. Amazon è una minaccia perché ti procura dei libri. Peggio ancora, permette alla gente di prenderli in prestito sul loro Kindle.

 

E qual è la nostra risposta a queste cosiddette minacce? Abbiamo costruito un nuovo Google, noi bibliotecari, o una nuova piattaforma di ebook? No; abbiamo invece iniziato a usare anche noi Google e Amazon, perché alla fine funzionano, fanno il loro dovere. Non ha importanza che Google sia la più grande agenzia pubblicitaria del mondo, e Amazon sia ormai in grado di estrarre i dati dei nostri membri allo scopo di trasformarli in futuri clienti. Poiché leggiamo il mondo secondo "funzioni", in termini di minacce e competizione, non affrontiamo i nuovi attori come degli alleati, né lavoriamo efficacemente per insediare i nostri valori all'interno dei loro servizi. Noi invece usiamo le funzionalità che ci sembrano migliori, e ci limitiamo a consumarle, ignari del costo che questo ha per noi e per coloro che serviamo.

 

Vi prego, non fraintendetemi: anch'io uso Google e Amazon. Anch'io uso Facebook e Twitter. Questi strumenti hanno un grande valore per la nostra professione e i nostri membri. Tuttavia, ognuno di questi può essere migliorato da una collaborazione con le biblioteche. Come noi possiamo imparare molto su nuovi modi di trovare informazione o di confezionare il contenuto, così loro possono imparare dai nostri 3000 anni di rapporti con la comunità e dal nostro sistema di valori. Tuttavia, questo accadrà solamente se siamo aperti a una vera collaborazione, e se veniamo visti come validi alleati. Se invece veniamo visti come isolati e fermi in funzioni del passato, perché mai loro dovrebbero voler collaborare con noi?

 

Quindi, qual'era quel nostro grande successo che ci si è ritorto contro? È questa cultura partecipativa in cui stiamo vivendo. Tutto intorno a noi la gente si sta organizzando. I cittadini stanno reclamando un posto nelle decisioni delle società come dei governi. Abbiamo già visto, in Tunisia e in Egitto, il potere che acquistano i cittadini quando sono connessi fra loro; l'Italia sta vedendo direttamente gli effetti del potere del networking in Libia. Il movimento "Occupy Wall Street" che è partito nel mio paese si è ora diffuso nelle strade di Roma. Con i telefoni cellulari e il web, la voce delle persone è ora amplificata, così come il loro desiderio di partecipazione.

 

Che cosa ha a che fare tutto questo con le biblioteche? Perché dico che ci si è ritorto contro? Perchè le stesse persone che abbiamo cercato di educare e assistere adesso stanno tentando di dire la loro sul modo in cui noi gestiamo i servizi. Negli Stati Uniti e in Scandinavia, i membri delle biblioteche mirano a una partecipazione senza precedenti nel modo in cui gestiamo i servizi. Sarò franco – la reazione di molti bibliotecari mi ha sconcertato. Questo è il mondo che abbiamo chiesto. Questo è il mondo per cui abbiamo lavorato.

Perché promuovere la cultura se non accettiamo il contributo a quella cultura? Perché fornire informazioni se non per una partecipazione informata? Perché educare se non per divulgare? Perché quando sposiamo i valori e la virtù del potere, siamo poi sorpresi se il pubblico usa il suo potere per plasmare un destino che è anche nostro? E dal momento che abbiamo concentrato i nostri sforzi sul potere dell'individuo prima che delle istituzioni – lo studioso alla ricerca della verità, lo studente alla ricerca della saggezza, la madre alla ricerca di una vita migliore per i suoi figli – perché siamo sorpresi se queste stesse persone iniziano a mettere in dubbio il bisogno di tutte queste istituzioni, compresa la nostra?

 

Sì, signore e signori, le biblioteche come le conosciamo noi sono spacciate. Hanno ragione quelli che ci definiscono antiquati e obsoleti. Non c'è alcun modo di mantenere in vita un'istituzione dedicata alle collezioni fisiche, alla catalogazione descrittiva, e una professione dedicata alla manutenzione.

 

A questo punto vi starete probabilmente chiedendo che razza di professore sono. Perché mi hanno invitato, e perché mi permettono di insegnare ai bibliotecari del futuro? Forse, tuttavia, vi siete accorti dell'uso che faccio dell'espressione "le biblioteche come le conosciamo", e avete visto il titolo di questo intervento. È arrivato il momento di spostare il discorso verso quella che per me è la strada verso una nuova biblioteconomia. E avete ragione, io credo che il futuro delle biblioteche sia senz'altro luminoso, ma è tutt'altro che scontato, e tutt'altro che una strada facile. È una strada che richiede un'azione personale radicale. Sarò anche onesto con voi: è una strada nella quale io ho grande fiducia nella professione dei bibliotecari, ma meno fiducia nelle istituzioni che oggi chiamiamo biblioteche.

 

La strada verso questa nuova biblioteconomia consiste nell'alzare le aspettative. Torniamo per un attimo alle storie con cui ho iniziato. Ad Alessandria, in Kenya e in Colombia troviamo persone eccezionali. Il potere della biblioteca non sta nell'architettura o nelle collezioni. Nessun abitante del Kenya ha trovato una qualche grandiosa ispirazione sul dorso di un cammello o di un asino. Il potere stava nell'idea e nel bibliotecario che venivano incontro. Ad Alessandria, in Kenya e in Colombia i bibliotecari non restavano indietro ad aspettare un'occasione per essere d'aiuto, ma individuavano i problemi e cercavano attivamente un modo per risolverli. I bibliotecari non vedevano se stessi come neutrali fornitori dell'informazione, ma come agenti di cambiamento sociale. Diversi anni fa ho scritto un pezzo sulla biblioteca come conversazione. Alcuni di voi forse lo conoscono: era un lavoro con cui tentavo di spiegare l'esplosione dei social media e il loro potenziale impatto nel campo della biblioteconomia. In quel pezzo ho scritto che le persone stavano usando i social network per creare spazi di apprendimento. Che le nostre comunità cercavano di piegare i sistemi che usavano allo scopo di creare e acquisire conoscenza. Da allora ho approfondito queste idee e ho lavorato con le biblioteche e altre organizzazioni per testarle. Quello che è venuto fuori è una nuova biblioteconomia basata non sugli artefatti, i libri e l'architettura, ma sull'apprendimento e la conversazione. C'è un assunto non dichiarato al cuore di questo discorso: che tu non sia un utente, o un consumatore. Tu sei una persona che vuole imparare; hai il controllo dell'ambiente circostante, e hai la capacità di modificarlo. Coloro che voi cercate di servire, che io chiamo "i nostri membri", ma voi potete anche chiamare il vostro pubblico, non sono solo utenti o consumatori, sono parte della vostra biblioteca, e ne rappresentano il nucleo.

Corinne Hill, la direttrice della Dallas Public Library parlava di come stava riorganizzando le sue biblioteche "dispondendo gli spazi collaborativi al centro, e i libri lungo le pareti, come opere d'arte". Qualcuno negli USA può leggere queste dichiarazioni come riduttive, come se si volesse minimizzare il potere dei libri a mero elemento decorativo; ma qui a Roma sappiamo tutti che l'arte è molto di più che un elemento decorativo. L'arte serve a ispirare, a educare, a provocare, a dare corpo alla cultura e alla storia. I libri nelle nostre biblioteche, le risorse elettroniche, le pagine web, i fondi antichi e rari, non sono lì per stare semplicemente chiusi in casseforti protette, bensì per ispirare, educare e provocare conversazioni e apprendimento. I vostri libri, i vostri edifici e i vostri servizi non valgono nulla se non vengono utilizzati. Non solo: il semplice uso non basta. Non valgono niente se non aiutano le comunità ad apprendere, e a compiere decisioni migliori. Il valore dei vostri manoscritti non risiede nelle pagine e nell'inchiostro, ma nella lettura, nell'applicazione e nell'immaginazione dei vostri membri.

 

Al cuore di questa nuova biblioteconomia c'è anche la riaffermazione di quella che io vedo come una missione molto antica e duratura. La missione dei bibliotecari consiste nel migliorare la società facilitando la creazione della conoscenza presso le loro comunità. Vorrei inoltre far notare un paio di cose su questa missione. La prima è che la missione è dei bibliotecari – delle persone – voi. Le biblioteche come istituzioni sono il prodotto di persone e professionisti. Non sono altro che astrazioni incapaci di fare alcunché di concreto, o edifici con il solo potere di esercitare la gravità e riparare dalla pioggia. È il bibliotecario che rende possibili queste cose. In questi tempi di digitalizzazioni di massa e networking, voi siete la sola, unica risorsa in ascesa all'interno della biblioteca. Questo significa che siete voi ad avere la responsabilità decisiva dell'impatto della biblioteca. Quando la Chiesa controllava le biblioteche in Italia, erano delle persone a decidere cosa andava pubblicato e cosa era da considerare eresia, non gli edifici. Quando il fascismo si affermò qui, e nel resto del mondo, erano delle persone a censurare le collezioni e a tentare di limitare il pensiero, non gli edifici. Le persone contano – voi contate. Questo significa anche che dovete assumervi la responsabilità di questo potere, dell'impatto e del futuro della vostra biblioteca. Nessun edificio può garantire la libertà o l'accesso all'informazione. Nessun edificio può proteggere la privacy dei membri della comunità. Nessun edificio o libro o manoscritto può dedicare se stesso al miglioramento dell'individuo o della società. Questo è il vostro lavoro. Questo è il vostro lavoro a Roma, a Firenze, in Italia, in Europa, in tutto il mondo. Questa è la missione dei bibliotecari – ispirare e informare al fine di migliorare le proprie comunità.

 

All'inizio del mio intervento ho parlato delle persone che nel Regno Unito o in USA si sono mobilitate contro la chiusura delle biblioteche. Quello che non ho detto è che ci sono comunque molte biblioteche che sono state chiuse. Ci sono biblioteche che hanno chiuso i battenti senza che si levasse un alito di protesta. Perché? Perché i bibliotecari di queste comunità erano incapaci di connettersi ai loro membri e a dimostrare il loro valore. Un edificio non basta, una collezione non basta, un titolo professionale non basta. Se le biblioteche avranno un futuro radioso, deve essere perché i bibliotecari hanno una visione coerente di quel futuro, e sono capaci di coinvolgere le loro comunità con l'importanza di quella visione.

 

Francamente mi lascia sempre perplesso vedere come alcuni bibliotecari reagiscono al principio di "migliorare la società". Mi dicono: "ma chi siamo noi per dire alla comunità come migliorare?" o "chi ha dato ai bibliotecari il diritto di influenzare la comunità?". Temono lo spettro di una specie di bibliotecario autoritario che detta legge in materia di gusto o di verità presso i nostri vicini, studenti, rappresentanti. In realtà, non colgono il punto. Il punto non è che i bibliotecari dettino legge presso la comunità, quanto piuttosto che ascoltino la comunità, e insieme ad essa decidano che cosa contribuisce a rendere un domani migliore. Nella conversazione su che cosa significhi il miglioramento - la conversazione più importante che possiamo fare - una comunità discute su quello che intende per miglioramento. Inoltre, i bibliotecari di quella comunità – anch'essi parte della comunità, e quindi con voce in capitolo – sono allo stesso modo influenzati dalla conversazione alla quale cercano di dare forma. Sono portati ad organizzare se stessi e i loro servizi secondo le norme e i bisogni della comunità. Inoltre indirizzano la conversazione cercando di preservare i valori base della nostra professione sviluppata attraverso più di 3000 anni di storia. Dobbiamo sostenere l'importanza dell'apertura delle idee; la privacy dell'individuo nell'affrontare queste idee; la convinzione che le idee migliori provengono dalle fonti d'informazione più ricche e diverse; l'importanza dell'apprendimento. Alcuni avranno forse notato che non ho incluso il concetto di imparzialità. Questo perché non si può essere imparziali, né privi di preconcetti, di "bias". Come esseri umani, instilliamo i nostri valori, i nostri "bias", e la nostra stessa visione del mondo in tutto ciò che facciamo. Il linguaggio che usate, il colore della vostra pelle, il posto in cui siete cresciuti, la vostra educazione, tutto influenza il modo in cui vedete il mondo e interagite con esso. Non siete imparziali. Come bibliotecari crediamo che la privacy sia essenziale – è un preconcetto. Come bibliotecari crediamo che più punti di vista su un argomento sono meglio di pochi – è un preconcetto. Crediamo, spero, che i bibliotecari e le biblioteche svolgano un ruolo vitale in una democrazia. Anche questo è un preconcetto. Non possiamo essere imparziali e privi di preconcetti, ma possiamo essere intellettualmente onesti.

 

Prendete le scienze. Io sono un "information scientist", uno "scienziato dell'informazione". Gli scienziati non solo hanno riconosciuto che abbiamo tutti dei "bias", ma hanno anche trovato una misura per quantificare questi preconcetti. Eppure, la gente guarda ancora alla scienza come un metodo adatto ad osservare il mondo. Perché? Non perché gli scienziati, in quanto persone, siano oggettivi e neutrali, ma perché gli scienziati hanno sviluppato, insieme a determinati strumenti, un'etica di onestà intellettuale. Come scienziato, riconosco che i miei metodi possano avere dei difetti, così li sottopongo a un riesame. Riconosco che la mia interpretazione dei dati possa essere sbagliata, per questo pubblico i miei risultati. La scienza conosce la differenza fra imparzialità e trasparenza. Come bibliotecari, dobbiamo anche noi fare nostra questa distinzione. Parlando di scienza, devo fare una precisazione a proposito di un equivoco ancora piuttosto diffuso. La scienza non è qualcosa di freddo. Essere un bravo scienziato non significa spegnere le emozioni ed avvolgersi in un'aura di oggettività. La scienza e la conoscenza hanno a che fare con la passione e la determinazione. Nella scienza significa un'urgenza di comprensione, spiegazione, verità. Nella biblioteconomia è il perseguimento di un servizio e del miglioramento della comunità. Nella scienza e nella biblioteconomia noi ci facciamo carico di questa passione, di questa missione, e cerchiamo di usare strumenti e metodi oggettivi e imparziali, non per escludere le passioni, ma per essere sicuri che le prove che usiamo nella nostra ricerca siano accurate e credibili.

 

Questa quindi è, almeno in parte, una risposta alla prima delle minacce alla biblioteconomia – la visione "funzionale". Per troppi di noi, e per troppo tempo, la nostra nobile professione è coincisa soltanto con i nostri strumenti. Attività come la catalogazione, o come lo sviluppo delle collezioni, sono meri strumenti tanto quanto il catalogo e le collezioni. Uno strumento senza uno scopo non ha senso. È solo quando i nostri strumenti vengono utilizzati che acquistano valore. Di conseguenza, mentre gli strumenti sono importanti, la vera definizione della nostra professione, o di qualunque professione, sta nel loro impatto e nel loro utilizzo. Dobbiamo definire noi stessi tramite i nostri obiettivi. Non siamo "organizzatori", siamo "facilitatori". Non siamo "collezionisti", ma siamo coloro che conducono a nuove idee. Gli edifici, i libri, e i processi sono utili solo quanto la nostra capacità di migliorare le nostre società, di renderle più consapevoli. Che cos'è un bibliotecario? Qualcuno che combatte in nome di una civiltà istruita e informata come componente necessaria della democrazia. Che cos'è un bibliotecario? Un esperto mediatore che aiuta studenti, professori, uomini d'affari e politici a compiere decisioni migliori. Come lo fa? Oggi attraverso le collezioni, domani non si sa.

 

Ho parlato anche di un grande successo che finirà col condannare la biblioteconomia come la conosciamo oggi. Quel successo è la partecipazione, e la convinzione che le comunità che serviamo abbiano voce in capitolo su come noi facciamo il nostro lavoro. Come incorporiamo tutto questo in una nuova biblioteconomia? Per rispondere a questa domanda devo raccontarvi una storia.

 

L'anno scorso ho avuto la fortuna di visitare le città medievali della Toscana e dell'Austria. Un tempo tutte queste erano città-stato, e la loro architettura era simile dappertutto. Quando furono costruite, erano tutte cinte da mura. Erano state costruite in un'epoca in cui, per conservare la propria identità in quanto comunità, c'era bisogno di costruire spessi muri per tenere fuori gli invasori. Città dopo città, fortezza dopo fortezza, tutte miravano a essere autosufficienti e inespugnabili. Oggi tutte queste città che ho visitato sono ancora lì, e hanno tutte mantenuto la loro identità. Eppure le mura sono state abbattute, o le porte allargate. Con il tempo, queste città hanno capito che la strada verso la prosperità stava negli scambi. Stava nel costante flusso di commercio e di cultura dentro, fuori e attraverso la città. Man mano che questi scambi crescevano, la difesa principale non era più garantita dalle mura, ma da un reciproco interesse. Nessuno voleva aggredire un potenziale alleato commerciale. La difesa non stava nell'isolamento, ma nelle relazioni. Roma, Firenze e Salisburgo oggi sono grandi città. Crescono e prosperano grazie agli scambi, al turismo e alla ricerca. Prosperano perché hanno abbattuto le loro mura.

 

Ora, guardate alle vostre biblioteche. Quanto sono spessi i vostri muri? Magari non sono fatti di pietra e calce, ma di pratiche e regolamenti. Quanto è benvenuta la comunità dentro le vostre fortezze? Quanto siete interconnessi con le comunità circostanti? La nuda verità, è che con l'avanzamento della tecnologia abbiamo bisogno di sempre meno spazio per fare il nostro lavoro. Dobbiamo cedere questo spazio alla comunità per lo scambio di idee. È solo entrando in contatto con il nostro pubblico, le nostre facoltà, le nostre compagnie, le nostre chiese, e il nostro governo, che noi diventiamo più essenziali. Se volete un futuro migliore per le vostre biblioteche, non lo troverete nei vostri scaffali. Solo spalancando porte e finestre e invitando il mondo a entrare in biblioteca possiamo garantire un posto per la nostra professione.

 

In tutto il mondo vediamo i bibliotecari uscire dalla biblioteca. I bibliotecari vanno dove ci sono le conversazioni, vanno nei posti in cui c'è bisogno di loro. I bibliotecari siedono nelle riunioni d'affari. I bibliotecari girano insieme ai medici e siedono nei team legali nei tribunali. Come negli esempi con cui ho iniziato il mio intervento, i bibliotecari usano cammelli e asini per venire incontro ai bisogni delle loro comunità, là dove la comunità ha bisogno di loro. Nelle università, i bibliotecari vanno al di là delle loro mura monitorando i feed di Twitter provenienti dalle lezioni allo scopo di offrire reference immediato. I bibliotecari pubblicano collezioni di immagini su Flickr per coinvolgere le comunità e arricchire le collezioni con storie e ricordi. I bibliotecari si fanno vedere, di persona e online, là dove c'è bisogno di loro; non stanno ad aspettare che qualcuno venga a trovarli. Così facendo dimostrano il loro valore, e acquistano maggiore supporto dalla comunità. Diventano anche una potenziale minaccia per il valore a lungo termine dell'istituzione.

 

All'università di Syracuse, NY, addestriamo i bibliotecari a supportare l'eScience. I bibliotecari partecipano ai laboratori e ai team di ricerca per aiutarli a organizzare i dati scientifici e coordinare la comunicazione fra i ricercatori. Non riusciamo a prepararne abbastanza per questo scopo. Questi "eScience librarians" vengono assunti altrove, di solito prima della laurea. Non vengono assunti dalle biblioteche, ma da istituti di ricerca universitari. E molti di questi istituti si trovano all'interno di università che hanno biblioteche. Vedremo mai il giorno in cui questa sarà la norma anziché l'eccezione? Quando le preziose competenze dei bibliotecari saranno assorbite dall'industria, e le istituzioni che i bibliotecari hanno gestito nel corso dei secoli semplicemente spariranno? Non faccio fatica a immaginarlo. Non credo nemmeno che sia una cosa negativa.

 

Se, invece, per voi lo è; se vedete l'istituzione come qualcosa di importante, allora dovete aggiungere valore. Siete in grado di creare, all'interno della biblioteca, un servizio di eScience che gestisca queste competenze per i laboratori? Siete in grado di aggiungere valore coordinando i bibliotecari "itineranti"? Siete in grado di fornire costante e continuo aggiornamento ai professionisti bibliotecari indipendentemente da dove si trovino? Se non è così – se vedete la missione della vostra biblioteca semplicemente nell'essere pronti ad assistere coloro che entrano in biblioteca – allora, secondo me, vi aspetta un futuro molto più arduo.

 

Sì, la biblioteca di oggi è spacciata. Possiamo piangerla, o possiamo festeggiare il fatto che ci ha preparati per il domani. Se uscite da qui, alla fine di questo mio intervento, credendo che io non dia valore alla catalogazione, ai libri, o agli edifici, non sono stato abbastanza chiaro. Tutte queste cose hanno avuto valore in quanto ci hanno portati fino a oggi. Tuttavia, il loro valore passato non deve dettare il loro valore futuro. Dobbiamo mettere costantemente in discussione ciò che facciamo, non per cercare colpe e difetti, ma per testarne la robustezza. Se un servizio aggiunge valore, lo manteniamo. Se non lo fa, celebriamo il suo passato e andiamo avanti. La missione, e i nostri valori, perdurano; gli strumenti e le attività che impieghiamo per compiere questa missione cambiano con il tempo.

 

Io vedo un luminoso futuro per i bibliotecari. Un futuro in cui i bibliotecari possono aiutare il mondo a lenire i suoi mali, non semplicemente intrattenerlo. Dove i bibliotecari aiutano le comunità a tirarsi fuori dalla morsa del debito, e dalla morsa ancora più stretta dell'intolleranza. Dove i bibliotecari non documentano le loro comunità, ma le trasformano. Signore e signori, dobbiamo pretendere di più da noi stessi e dalle nostre biblioteche. Dobbiamo insegnare alle nostre comunità a pretendere di più da loro stesse. Dobbiamo, con la nostra azione, dimostrare alla comunità che non basta un edificio con dei libri. Che nessuna comunità dovrebbe mai essere soddisfatta di una biblioteca mediocre, o di bibliotecari che aspirano a identificarsi solo con le loro mansioni, e non con la responsabilità di rendere il mondo un posto migliore.

 

Che cosa ci aspetta, non sono in grado di dirlo. Che aspetto avrà la conversazione sul futuro delle biblioteche qui in Italia, o nel resto del mondo? Sarà accesa? Polemica? Rassegnata? Silenziosa? Indifferente? Non lo so. So solo che se vi limitate ad aspettare che succeda, o che finisca, non accadrà mai. Se rimanete ai margini, come potete aspettarvi che altri si buttino nella mischia? Se ve ne state tranquilli con le vostre critiche e i vostri commenti, abdicate al futuro. Lasciatemelo dire un'altra volta: scegliendo di non partecipare alla conversazione sul futuro delle biblioteche, abdicate alla possibilità di darvi forma.

 

Dewey, Cutter e Ranganathan, hanno tutti creato un'eredità che, chiamandoci noi bibliotecari, siamo chiamati a custodire e rappresentare. Questa eredità deve essere rispettata e tramandata, non solo messa su un piedistallo e venerata. Questi giganti, sulle cui spalle stiamo noi ora, non hanno mai visto il campo come finito, immutabile, inerte. Diversamente da alcune belle sculture o da grandiose opere d'architettura, noi preserviamo l'eredità di questi bibliotecari abbattendo costantemente la convenzione in favore dell'efficienza, la struttura in favore dell'efficacia, e gli assunti passati in favore del successo futuro.

 

Siate orgogliosi della vostra eredità di bibliotecari. La nostra è un'antica e nobile professione che può contare fra i suoi membri rivoluzionari, missionari, insegnanti e molto altro. Hanno dato inizio per voi a una meravigliosa conversazione piena di storia e ricchezza. Hanno inciso questa conversazione nei nostri valori, nelle nostre istituzioni, e nella nostra formazione. Ma non hanno completato l'opera, né hanno terminato la conversazione. L'hanno lasciata aperta per voi, per coloro a cui voi insegnate, e per coloro a cui questi insegneranno a loro volta. La conversazione della biblioteconomia è viva, ed è in attesa della vostra voce.

 

(traduzione di Enrico Francese)

 

[L'intervento di David Lankes al Congresso AIB è stato pubblicato da  Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/MnhWN]

 

Aggiornata l'ultima volta da Maurizio Caminito 23 Nov 2011.

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