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Riflessioni su San Pietro in Vincoli «Non si è forse capito che la Repubblica ha smesso di tutelare il patrimonio paesaggistico, storico e artistico della Nazione? »

di ANDREA CARANDINI (www.roma.corriere.it)

ROMA - La sofferenza non ha fine: ogni giorno un castello crolla e una rovina va ancor più in rovina. Destino naturale delle cose è finire sotto terra. Roma antica non è in grande parte sepolta, insieme a Cartagine, Alessandria, Antiochia e Costantinopoli? Ma a tale fatale inclinazione l'uomo d'oggi non si rassegna, perché sa che il futuro si costruisce con ferri antichi, come nel Rinascimento, e non aver passato è avere un domani barbaro. Questi sono i pensieri davanti agli intonaci di San Pietro in Vicoli che cadono.

Di fronte alle denunce, puntualmente ricordate dai quotidiani, sono preso da contrastanti sentimenti, uno dei quali dice «basta»: a che serve il ricordo del quotidiano massacro? Non si è forse capito che la Repubblica ha smesso di tutelare il patrimonio paesaggistico, storico e artistico della Nazione? 
Di fronte a questo situazione miserando è chi protesta, dimenticando che i soldi di cui un tempo disponevamo non c'erano e hanno formato un colossale debito pubblico, per cui non possiamo tornare indietro. Vi è chi invece si rassegna, trovando tutti i tagli fatali. La virtù sta nel mezzo? Pur fra le ristrettezze, il vertice del governo dovrebbe dire cosa pensa della cultura in rovina, ma fino a ora non lo ha fatto. La cultura è la ciliegina sulla torta, che in tempo di vacche magre può anche mancare, oppure forma lo strato superiore della torta, per cui è il presupposto dello sviluppo? 

Allo scoramento si aggiunge la pugnalata minacciata di Corcolle, che Pecoraro e la Polverini vogliono infliggere all'agro Tiburtino e a Villa Adriana, davanti a un Globo attonito. Qui si tratta, non di scarsità di personale e investimenti, ma di un vero vulnus tanto grave quanto deliberato. L'Italia degli avi la meritiamo?

In conclusione, è bene ricordare quanto segue. Dal Ministero per i beni culturali dipendono 120 archivi, 50 biblioteche, 17 direzioni regionali e 90 soprintendenze. Si tratta di 277 centri di spesa. Per l'anno 2012, il Ministero dispone di 114 milioni di euro per gli investimenti. Se dividiamo questa cifra per i centri di spesa, si ottiene per ciascuno la cifra di 411 mila euro annui. Se togliamo ai 114 milioni i 29 destinati a Ales (società in cui sono stati accorpati gli ex lavoratori socialmente utili) scendiamo a un totale di 85 milioni di euro. Ma è sopravvenuto un taglio di 9 milioni: non poteva il Ministero essere risparmiato? 
Una settantina di milioni sono stati ottenuti dal Cipe grazie all'impegno del ministro Ornaghi, destinati a progetti speciali. Il Ministero sarebbe oggi in grado di spendere 426 milioni l'anno (media delle uscite di cassa negli ultimi tre anni). Mancano pertanto 312 milioni. In questa drammatica situazione - l'ho già proposto: la metà dei rimborsi elettorali siano destinati alla cultura - dobbiamo rinunciare definitivamente al mantenimento del patrimonio culturale della Nazione? I crolli sono la conseguenza logica di questo stato di cose. 

18 maggio 2012 | 21:08

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